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lunedì 24 ottobre 2011

La morte in pista

Purtroppo questi 7 giorni sono stati terribili per il motosport mondiale: prima la morte domenica scorsa nella Inydcar di Dan Wheldon, poi ieri quella di Marco Simoncelli nella MotoGp.

È difficile rimanere indifferenti di fronte a quello che è successo, soprattutto se uno è appassionato di corse motociclistiche o automobilistiche. Però mi ha sempre affascinato quel correre sul filo sottile che separa la vita e la morte, quel menefreghismo tipico dei piloti verso la morte e la paura, quel loro "l'incidente capiterà a un altro e non a me" che non gli fa pensare al peggio, quel loro tirare giù il piede o girare di più il polso in curve assurde dove tutti noi "umani" useremmo il freno per puro spirito di autoconservazione. Tanto per far capire cosa riescono a fare queste persone vi consiglio di vedere questi due video: in uno viene ripreso Riccardo Patrese alla guida di una Honda con la moglie accanto; nell'altro Damon Hill porta a spasso un giornalista durante il collaudo di una Mercedes. La tranquillità con cui questi due piloti (ormai ritiratisi dalle corse) guidano è disarmante rispetto al terrore delle due persone che stanno al loro fianco.

Quindi i piloti (ma tutti coloro che praticano sport con alto rischio di rimetterci la pelle) sono persone da rispettare, perché fin da piccoli inseguono una grandissima passione per divertimento e quasi fregandosene dei possibili effetti collaterali. Pensare a un Senna che aveva la strada spianata con una famiglia ricca alle spalle e un'importante attività imprenditoriale che doveva prendere solo in eredità, ma che, nonostante questo, si è intestardito per correre e per diventare il più forte di sempre, mi fa pensare che queste persone non siano esseri umani, ma qualcosa di più.

Ovvio, qualcuno può venire qui a dirmi che al mondo muore tanta gente, che non guadagna tutti questi soldi e che non è giusto dare così tanta visibilità a una cosa inutile come girare in tondo a una pista. Queste posizioni sono tutte legittime, però non vorrei che cadano nel "qualunquismo" tipico di queste situazioni. È vero che alcuni (in realtà pochissimi) guadagnano tanti soldi, ma ci sono tantissimi piloti in erba che devono cacciare loro la grana e non li paga nessuno per inseguire la loro passione. È vero che al mondo muore tanta altra gente e non ne parla nessuno, ma sicuramente è più emotivo sapere che è morto qualcuno che almeno hai visto una volta, sia che ti stia simpatico sia che ti stia antipatico, piuttosto che qualcuno di cui non sai niente. È vero che il motorismo può sembrare inutile però molti sono appassionati di auto e moto così come molti seguono il calcio e il basket, cioè seguono e vedono attività essenzialmente frivole che servono solo a farci divertire. Quindi questi discorsi sono un po' "campati per aria" e se a uno non gliene frega niente dell'automobilismo (o del motociclismo) semplicemente può non seguirlo e fregarsene quando succedono queste tragedie, senza dover fare la morale a me che invece rimango colpito e sconvolto da quello che succede.

Insomma, la nostra segreta speranza è quella di non dover piangere più per un pilota morto mentre sta inseguendo il suo grande sogno e la sua grande passione. Però sappiamo tutti che questo prima poi succederà di nuovo, ma la mia ammirazione per quello che fanno queste persone, le abilità incredibili che hanno e le emozioni che trasmettono guidando un mezzo a motore, non mi faranno mai allontanare da questo sport nonostante i morti e i traumi che provoca nel corpo e nell'animo.

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